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Asseprim: luci e ombre nella digitalizzazione delle imprese che erogano servizi professionali

L’indagine Asseprim Focus evidenzia lo stato del rapporto tra le imprese italiane di servizi evoluti e la loro presenza online su siti e social

Asseprim, federazione nazionale dei servizi professionali per le imprese, in occasione della tre giorni sui temi della Digital Communication Strategy e del Social Marketing che si è tenuta il 22-23-24 maggio presso la Sala Orlando del Palazzo Castiglioni in Corso Venezia 47 a Milano, ha reso noti i dati sullo stato della digitalizzazione delle imprese che erogano servizi professionali, messi in evidenza dall’ultima edizione dell’indagine Asseprim Focus.

Per illustrarli, il Presidente Umberto Bellini ha accettato di rispondere ad alcune domande.

Presidente, qual è la politica delle imprese di servizi evoluti verso il digitale?
Le imprese di servizi evoluti stanno adottando, intelligentemente, una strategia in controtendenza con il ciclo economico. Nonostante le avvisaglie di crisi economica o comunque di stagnazione, le imprese di servizi professionali continuano infatti a investire nei propri piani di sviluppo digitale; ad oggi, l’86% di loro hanno un proprio sito web, un dato che le colloca 10 punti più in alto rispetto alla media delle altre imprese italiane. A ciò si aggiungono i social network, su cui investono attivamente almeno due terzi delle imprese e dove spicca la forte crescita di forme di comunicazione evoluta come quella dei video aziendali (+12% in sei mesi).

Umberto Bellini, Presidente Asseprim. Clicca sulla foto per scaricarla in alta risoluzione.

E’ una scelta che paga?
La comunicazione digitale con sito web e social network ha evidenti impatti sui fatturati delle imprese, un quinto dei quali deriva dalla comunicazione digitale, a riprova di quanto la buona comunicazione in rete possa garantire, oltre a visibilità e notorietà, anche ritorni concreti.

La digitalizzazione è ormai una scelta comune o ci sono eccezioni?Strano ma vero, c’è chi ancora non ci crede. Nonostante l’86% delle imprese dei servizi professionali abbia un sito, solo il 67% (ma era addirittura il 62% appena sei mesi fa) lo ritiene importante per il proprio business e c’è ancora un 31% che lo ritiene poco più di uno strumento di immagine. La forbice tra chi punta sul web e chi ancora non ne vede l’utilità concreta è destinata addirittura ad ampliarsi dato che solo il 54% delle imprese di servizi professionali stima di incrementare ulteriormente l’uso del web nel corso del 2019, allargando ulteriormente il gap.

Cosa mi dice dell’e-commerce?
L’ecommerce non sfonda tra le imprese di servizi. Il sito web è uno strumento ampiamente utilizzato dalle imprese dei servizi professionali ma la sua evoluzione deve fare ancora molta strada; questo si evince dal fatto che i siti vetrina costituiscono ancora la stragrande maggioranza (61%), mentre solo l’8% dei siti implementano moduli di e-commerce; il 21% delle imprese inoltre usano il sito per erogare informazioni e solo il 10% circa lo sfrutta come blog o comunque per cercare una maggiore relazione con i propri interlocutori.

whatsapp e Instagram?
Amati dai privati, snobbati dalle aziende. Indipendentemente dal possesso o meno di un proprio sito, il 67% delle imprese dei servizi professionali è presente su almeno un social media; il più gettonato è Facebook (71%), seguito da Twitter (51%) e Linkedin (45%). Instagram e whatsapp, che oggi vanno per la maggiore in ambito privato, raccolgono qui solo il 37% e addirittura un misero 7% rispettivamente.

Instagram e twitter: servono davvero?
Per motivi diversi, il loro uso in ambito aziendale solleva molte perplessità. Dai dati di Instagram e Twitter appare chiaro che ci siano forti schizofrenie nell’uso dei social; li usano rispettivamente il 37% e il 51% delle imprese che erogano servizi professionali ma una volta chiamate a pronunciarsi sulla loro utilità, Instagram raccoglie solo un 11% dei consensi mentre Twitter deve accontentarsi di un misero 8%. Insomma, li si usa ma quasi sempre senza una strategia capace di renderli efficaci.

Social per uso aziendale e personale; che differenza c’è?
La dicotomia tra uso aziendale dei social e uso personale è evidente sia dalle risposte dirette, che evidenziano un primato di whatsapp, usato da oltre il 70% di coloro che invece non lo ritengono utile in ambito aziendale (vedi infografica sotto), sia per il tipo di contenuti pubblicati prevalentemente, tra i quali prevale ancora il classico post testuale con il 50% delle preferenze, seguito da documenti interni (ancora di natura testuale, con il 35%), foto (33%), articoli giornalistici/report (di nuovo testuali, per il 29% delle imprese) e infine i video (28%, ma cresciuti del 12% in 6 mesi) e i link (27%). Insomma, la natura ancora fortemente testuale, didattica e forse anche un po’ autoreferenziale dei contenuti delle imprese si traduce in una scelta dei social più adatti a una comunicazione ancora sbilanciata sulla modalità one-way anziché two way come invece è più frequente nella comunicazione personale.

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Cosa frena ancora la digitalizzazione?
Il freno a una diffusione totale del web non ha natura tecnica né economica ma culturale; lo testimonia il fatto che solo il 7% delle imprese dichiara di aver incontrato difficoltà nella realizzazione del sito. Di queste ultime, il 76% ha faticato a reperire risorse con competenze adeguate, il 18% lamenta una mancanza di competenze nell’azienda, e solo il 6% attribuisce i suoi problemi a difficoltà finanziarie.
Dal punto di vista culturale e delle competenze però solo le imprese più strutturate possono puntare su personale interno dedicato al mantenimento della loro comunicazione online. Sono ben il 54% dei casi, per esempio, quelli in cui nessuno si occupa di monitorare l’andamento della presenza online dell’azienda in termini di visualizzazioni, post, like, eccetera. Come è ovvio, questa sacca di inefficienza frena la crescita del business di molte imprese e ne approfondisce il divario con il restante 46% che invece tiene monitorate le sue performance digitali. Anche in quest’ultimo caso però non è tutto rose e fiori dato che, di queste imprese digitalmente virtuose, il 60% deve comunque ricorrere a personale esterno, mentre il restante 35% ha personale interno ma che si può dedicare al web solo part time. Eppure…

Eppure?
Le imprese farebbero bene a valutare le ricadute economiche reali della comunicazione digitale. Nonostante tutto, dalle imprese intervistate dalla ricerca Asseprim emerge un dato che elimina alla radice ogni possibile questione sulle metriche del web oltre che sulla sua efficacia: secondo il campione, mediamente il 20% del fatturato aziendale complessivo è in qualche modo riconducibile, direttamente o indirettamente, alla presenza sul web. E pensare che questo dato a doppia cifra arriva dopo un approccio con tutti i margini di miglioramento visti sinora, dovrebbe far riflettere sull’opportunità e sull’urgenza, per quasi tutte le imprese di servizi evoluti, di investire più e meglio sula propria comunicazione digitale.

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